Categoria: Epoca terza

  • La festha manna

    Sutta a li stiddi, lu fogu si desta,
    comente cantu chi vene da l’arma,
    e in mezzu a l’umbra, tra pizzi e conzédda,
    s’assenta la zente com’una litàrma.

    Su batti di ghitarra, s’apri la sera,
    cun cori chi bolit, cun occhi brillendi,
    e ogni parola chi scappa sincera
    si mesca a lu ventu e va tra li rendi.

    L’odori di porcu, di vinu, di mari,
    s’unìscini a noti di melinzanetta,
    e in la cassola balla lu sucu chi cari,
    mentri la fammi l’anima s’arretta.

    La festha manna est comu prighera,
    unu ritusu di focu e d’armonia,
    chi porta la zente in stessa bandera
    e cun l’amori si fa poesia.

    Cala lu soli, e s’asculta lu cantu
    chi lentu si spanni tra l’olmi e li muri;
    s’est abbattutu lu pani santu,
    ma lu cori bruschiat resta sicuru.

  • In lontananza, il mare

    non c’è nessuno

    cammino per le strade
    affamato

    con la bocca secca
    e gli occhi asciutti

    .

    nuvole grigie in cielo

    le porte delle case
    diroccate – sfondate

    finestre rotte, spaccate
    balconi crollati

    .

    strade di città

    un tempo abitate
    da voci e volti

    piazze di festa
    concerti, banchetti

    .

    in lontananza, il mare

    gabbiani veleggiano
    puntini sull’orizzonte

    un veliero scorge terra
    arriva da terre lontane

    .

    c’è ancora vita

  • Partenza – II

    Aspettavo la tua visita,
    nella quiete che sa di addio.
    Ora bussi! Cento volte,
    e cento ancora.

    Ma io ho preso il sentiero,
    tra le valli profonde,
    i monti in silenzio,
    e i boschi che non chiedono nulla.

    Cercavo un luogo remoto
    per costruire la mia nuova casa.
    Lontano da te,
    lontano da me.

  • Partenza – I

    Aspettavo la tua visita
    nella solitudine. Ora
    bussi… cento volte,
    e cento ancora.

    Ma io son già partito,
    per valli e per monti,
    tra i boschi cercavo
    un luogo per costruire
    la mia nuova casa.

  • Alla rosa chiusa in teca

    Oh rosa, ch’in cristallo sì rinserra,
    più che nel giardin d’aprile accesa,
    serbi l’onor, la forma e la bellezza,
    ma l’alma tua langue in mesta guerra.

    Nessun verme ti morde, né tempesta
    ti piega il collo o ti scolora il manto,
    ma solitaria vivi entro l’incanto
    d’un vetro freddo, che non ti detesta

    ma non t’ama. Oh fiore tanto puro,
    che l’altrui dita mai non ti sfioraro,
    che mai sentisti il riso o lo sguardo
    d’un core umano sincero e maturo.

    Né mano ti potrà mai più recare
    l’acqua che nutre, né la brama accesa
    d’un amante potrà con dolce resa
    coglier il tuo profumo e sospirare.

    Tu sei perfetta, ma per chi? Per quale
    spirto invisibile o Dio severo
    che teme il tocco, e adora il mistero
    d’un fiore intatto, ma senza il suo male?

    Così l’amor, se troppo si protegge,
    non vive: s’asciuga nel suo specchio,
    e in luogo d’un giardino, ha un sepolcro
    che par tempio, ma al cor nulla corregge.

  • Che mi fai

    Che mi fai

    che non sento più i profumi
    se non quello della tua pelle

    che quando osservo l’orizzonte
    scorgo il tuo viso nel cielo

    che più nulla mi importa
    se non il qui e adesso

    e sento pace dentro me,
    la mia piccola barca
    ha trovato un porto felice

    dove il riposo ha riparo,
    dove sincere mani amiche,
    ricuciono la logora vela

  • E pur io son sì altamente innamorato: risposta a Cecco Angiolieri

    Cecco, compare mio, spirto arguto e chiaro,
    sediamci qui, ché l’alma arde e consuma;
    anch’io per donna vivo a mal a mano,
    e il cor si strugge come legna in bruma.

    Ella mi guarda, e par che poco cale,
    e ride quando il cor mi cade in terra,
    poi mi ragiona dolce, e mi fa male,
    e pur io son sì altamente innamorato.

    Di me s’è fatta gioco e fantasia,
    e pur la cerco come pane e vino;
    ché senza lei, la notte pare via
    che mena al nulla e al fin mi fa tapino.

    Io, come te, bestemmio e poi ripenso
    che forse Dio d’amor si fa trastullo,
    ma il cor, ribaldo, torna al primo senso
    e dice: “Soffri, ché morir non è nulla.”

    Mi dici: “Va’, ch’ella ti sia propizia!”
    e io rispondo: “Sia quel che vorrà sorte;
    ma s’ella ride, l’alma mia s’imbizzia,
    e se non l’ho, già sento dentro morte.”

    Dunque giochiam, ché amor è bisca oscura,
    e il senno è banco che mai paga il conto;
    che vale il lume, se ogni carta è fura,
    e un bacio è premio d’un mazzo già pronto?

  • Del mio usiél ch’è foco senza posa

    Sempre ‘l mio usiél, ch’è foco senza posa,
    s’alzava in vol per ogni giovinetta,
    anco se brutta, zoppa, o poveretta,
    ché mai guardava volto né bellezza.

    Né bruttinella mai scampò la cosa,
    ché la sua voglia è forza maledetta,
    che l’ànima mi strugge e mi disseta,
    come fornace accesa e furïosa.

    Punìa le verginelle con gran zelo,
    che quasi mi pigliava un gran spavento,
    vedendo ogn’or ch’alcuna mi guardava.

    Ché poi la sorte, come un colpo a pelo,
    e lor beltà servia sol per la brama,
    ché amor non v’era, ma pur fame e scherno.

  • Spossato

    Spossato

    e riesco finalmente
    a godere quel tanto desiderato
    riposo

    ora la mia piccola barca,
    silenziosa e immobile,
    galleggia
    su questo lago
    che un tempo era mare

  • Les fleurs dans le vent

    Depuis des temps immémoriaux,
    anéanti par le vide,
    le cœur écrasé par la poussière
    de mille heures mortes.

    L’Amour m’abandonna,
    et les couleurs s’éteignirent dans l’abîme,
    la musique devint du bruit,
    un cri, un fracas sans visage.

    Tout le monde, en flammes,
    s’enfonçait dans un tourbillon,
    dirigé par des démons trompeurs,
    et des bêtes, sombres comme le silence.

    La fatigue me tira du noir,
    tandis que je gravissais le précipice,
    les mains meurtries par le froid de la terre,
    le souffle pris par l’obscurité.

    Puis la lumière arriva,
    plus de soleil, mais un éclair
    de fleurs étranges, écloses dans l’air,
    et le pain qui ne rassasie pas, mais remplit
    d’un goût oublié,
    un dernier cri de vie.