Autore: Jack Arru

  • Vorrei

    …“vorrei tanto poter cancellare
    le ancore che a lei ti legano”
    mi diceva,
    “con i miei baci farti dimenticare
    le questioni che ti attanagliano”
    insisteva,
    “dalla tua mente i ricordi sollevare
    ché anche nel sonno ti soffocano.”
    e piangeva.

    ed io ascoltavo saggio, silente
    mentre lei mi accarezzava,
    con le labbra rosse mi baciava,
    senza ancora dire niente,
    rendendo la sua attesa esasperante
    sì che al mio ventre supplicava.

    e poi rispuosi
    “ma non subito, non adesso,
    ancora resto un po’ a rimuginare
    con me, e il suo odore addosso
    senza fretta stare a rimembrare
    ‘suo amor che aver non posso.”…

  • Dal diario di Jack Buxton: 13 maggio 2003

    In quel periodo passavo le giornate a guardare film in dvd noleggiati sotto casa e fumare sigarette rollate. Nelle pause la fottevo distrattamente ma a lungo. Era come andare a lavoro ma senza i colleghi.

    Quella sera era diverso. Forse iniziava a piacermi la vita che facevo, o forse no.

    Me ne stavo sdraiato sul letto, con aria da gran signore, poggiandomi su un fianco mentre osservavo i quadri che le avevo fatto comprare alla galleria d’arte in Viale della Repubblica. “Passami un sigaro, piccola”. Me lo passò dopo averlo preso dal cassetto del comodino. “Non così”, dissi, “prima fai come ti ho insegnato”.

    Lei sorrise e mi diede un bacio sulla spalla destra. Lo passò tra le grandi labbra, e poi lo fece andare dentro e fuori per bagnarlo. “Basta così che poi non accende!”.

    Lo accese e me lo porse.

    Feci un tiro profondo, buttai fuori il fumo e dissi: “Adesso succhiamelo.”

    [ … ]

    Continuavo a fumare, mentre lei lavorava di lingua e di gola. I pompini erano la sua specialità, devo ammetterlo. Aveva una dote eccezionale, un qualche tipo di potere magico raro. Erano questi i momenti della giornata in cui il tempo si fermava, ed io iniziavo a pensare, a rendermi conto delle cose, a fare congetture sulla vita, sul senso che tutti continuano a predicare. Cose, persone. Atomi uniti a formare gente. Solo i pompini alleviavano le mie giornate, ormai tutte uguali, buttato in quel letto a bere whisky, senza respirare, a guardare quei filmetti senza senso, assorbendo odore di morte.

    [ … ]

    Gli unici momenti di svago erano quelli in cui Sarah dormiva, ed io di nascosto senza farmi sentire, di solito verso le cinque del mattino, mi alzavo da quel letto funebre ed andavo in veranda, a gustare la timida luce di un altro giorno che iniziava. E scrivevo lettere lunghissime, lettere sul Tutto e sul Niente, sul cazzo e sulla merda… lettere a un amico fidato, colui che mi capiva al solo sguardo al solo cenno. Parlavo dei pompini, certo, ma anche di quanto non sia bello vivere senza lottare, ed io non lo facevo più da troppi giorni.

    [ … ]

    Il carrello della spesa scivolava sul pavimento, muovendosi come un serpente velenosissimo. Lei comprava soltanto pasta, carne e verdure. Cibo per corpi.

    Ed io compravo solo libri birra e whiskey. Il mio nutrimento erano le avventure dei vecchi compagni di sbronze, il mio nettare la birra e il mio ossigeno il whiskey. A parte la sensazione schifa con la quale convivevo ormai da tempo, ogni tanto sentivo dentro al petto ancora qualche scossa. Forse non è tutto perduto! – Pensai un giorno. Potevo ancora fare qualcosa, potevo ancora sputare tutto il catarro che mi aveva ostruito le vie respiratorie. Ma come?

     [ … ]

     Era tornata anche quel giorno. La sensazione di morte non mi abbandonava mai, e già lo sapevo che non potevo continuare in quel modo, così chiamai il vecchio Maurice per andare a farci una birra in qualche sala da biliardo. A lui non sembrò vero, erano almeno due mesi che non mi facevo più sentire. La cameriera ci passò davanti, e lo mosse dolcemente catturando il nostro sguardo. Era come ai vecchi tempi, ai tempi di quando delle cose non ce ne fregava niente, quando era facile cambiare tutto con un semplice schiocco delle dita.

  • Sonetto alla donna

    Lungi da me, donna
    Falsa e bugiarda
    Come gli dei

    Basta fingere
    Basta versare
    Nettare sulla tua feccia

    Ferire un uomo
    Già ferito
    Vergogna

    Ignara creatura
    Magnifica e velenosa
    Io ti ripudio e ti divieto
    In ogni mio contesto

  • Vuoto universale

    Era uno di quei sabati che promettono miracoli e che poi ti rendi conto che sono più vuoti di una bottiglia rotta per strada. Andai a trovare il mio amico, forse l’unico degno di potersi avvalere di questo titolo, e le cose dovevano svolgersi in questo modo: classica serata Drink & Fuck (che poi si rivela “drink a lot and no fuck”). Uscimmo alla ricerca di qualche pulzella, giovane o tardona non ci importava, dopo aver passato un paio d’ore a bere birrette e giocare a scacchi a casa sua.

    Camminando per strada, mi guardai intorno e vidi solo dei corpi inutili, pezzi di merda bastardi ingabbiati e contenti nei loro abitini “mezza stagione”.

    Probabile che mi sbagli, ma li ho sempre guardati come gente che sta dentro a un locale fighetto a bere stronzate (bacardi breezer, ecc.) fingendo di essere ubriachi. Credono che il mondo gli giri attorno, solo perché hanno la possibilità di spendere trecento carte ogni serata. Se anch’io avessi il papi ingegnere, il papi medico o il papi supermegacazzuto che mi rifila le chiavi della sua Bmw e un bel po’ di denaro bonus da spalmare nei locali, starei con il mio amico a dimostrare cosa significhi bere veramente…

    Ad ogni modo arrivammo in un bar. Io presi un Havana 7 anni con ghiaccio e lui un amaro. Questo per saggiare i prezzi…

    Quei rotti in culo ci chiesero 7 euro! Appena arrivò la cameriera con lo scontrino (una sulle quali tette ci potevi annegare), chiesi dov’era il bagno. Gliela “feci” pagare.

    Cambiammo locale: pub stile inglese con tutte quelle cose in legno appese ai muri. Dopo cinque-sei sigarette arrivò il cameriere. Aveva la faccia di uno che era stato picchiato da piccolo. Ordinammo un rum liscio e un Jameson. 8 euro cazzo! Forse avremmo fatto meglio a rimanere a casa e svuotare il frigo etilico di ciò che era rimasto. Ma visto che eravamo là belli comodi, molestammo la fanciulla affianco al nostro tavolo.

    “Dov’è finito il tuo ragazzo?”, esordì il mio amico.

    “E’ per caso andato a puttane?”, continuò.

    Lei rimase senza parole ma sfoderò un sorriso imbarazzato e sprezzante che diede l’incipit all’ultimo “sgabbio”:

    “Ma pompini ne stai facendo ultimamente?”

    Impossibile descrivere il volto sdegnato di colei, che si alzò dal tavolo seguita dalle sue ancelle e si ritirò nelle sue stanze.

    “Sei un genio” dissi io.

    “E non è finita”, disse lui, “ora vado in bagno e lascio un souvenir…”

    Passai una decina di minuti perso negli occhi neri di una ragazza dai capelli sexy.

    I miei pensieri vennero interrotti dal mio amico:

    “Quello stronzo che hanno picchiato da piccolo ha controllato il cesso e mi ha costretto a scaricare!”

    “Almeno si ha sorbito il tuo tanfo di merda” dissi io.

    All’improvviso l’Einstein racchiuso dentro alle tempie del mio amico si svegliò, brillando nei suoi occhi:

    “A casa ho ancora qualche bottiglia di vino dolce!”