Spossato
e riesco finalmente
a godere quel tanto desiderato
riposo
ora la mia piccola barca,
silenziosa e immobile,
galleggia
su questo lago
che un tempo era mare
Spossato
e riesco finalmente
a godere quel tanto desiderato
riposo
ora la mia piccola barca,
silenziosa e immobile,
galleggia
su questo lago
che un tempo era mare
Depuis des temps immémoriaux,
anéanti par le vide,
le cœur écrasé par la poussière
de mille heures mortes.
L’Amour m’abandonna,
et les couleurs s’éteignirent dans l’abîme,
la musique devint du bruit,
un cri, un fracas sans visage.
Tout le monde, en flammes,
s’enfonçait dans un tourbillon,
dirigé par des démons trompeurs,
et des bêtes, sombres comme le silence.
La fatigue me tira du noir,
tandis que je gravissais le précipice,
les mains meurtries par le froid de la terre,
le souffle pris par l’obscurité.
Puis la lumière arriva,
plus de soleil, mais un éclair
de fleurs étranges, écloses dans l’air,
et le pain qui ne rassasie pas, mais remplit
d’un goût oublié,
un dernier cri de vie.
abbiamo vinto
ma a che prezzo
la vittoria
non consola
quando il cuore
resta in guerra
e cosa serve
uscirne vivi
se dentro
non lo siamo più
di pensare
libertà
[…]
di agire
libertà
[…]
di amare
libertà
Ecco, è giunta l’ora soave,
l’attesa, la dolce, la buona,
l’ora che il cuore solleva
come spiga che il sole incorona.
Tutto si posa, tutto s’intona:
la falce nel grano che ride,
l’odore del pane che dona
la sera alle mani ferite.
Il tempo si chiude nel cerchio
che il bue ha tracciato nel campo,
e il cielo, nell’ombra che cresce,
si fa della vita un canto.
Oh, quanta pazienza silente!
Vangare, seminare, sudare…
e ora la terra è presente
con frutti che sanno d’amare.
E l’uomo si siede, pian piano,
sul ceppo che un tempo ha tagliato,
e guarda la vigna, il suo grano,
il mondo che ha costruito.
Sorride, col sole nel petto,
le rughe gli dan compagnia.
Capisce, nel cuore perfetto,
che è giunta la sua poesia.
Che il pane è più dolce al tramonto,
che il vino ha più canto maturo,
ché ogni seme nel tempo ha raccolto
un destino sereno e sicuro.
Essendo l’umana vita transitoria e piena di perigli e tribolazioni, e ciascuno spirito nato sotto la luna costretto a passar per molte e diverse prove, non è cosa nova che l’animo, in certa etate, si trovi sperso infra le tenebre del dolore, e mancante di lume verace. Onde io, che fui peregrino sopra questa terra, ebbi a trapassare per vie oscure, le quali menano non già a perdizione, ma, con guida casta e pietosa, alla speranza d’alto raggio.
E però, volendo io narrare cotale cammino – non per vana gloria, ma perché altri che similmente soffra ne tragga conforto e lume – ho composto questi versi secondo l’arte antica del nostro sommo poeta, che del cammino dell’alma fece mirabile canto. In essi, sotto forma poetica e figurata, si mostra la discesa, la purga, e l’ascesa di colui che per dolore conobbe la verità, e per amore fu redento.
Chi legge, abbia animo aperto e cuore paziente: ché non ogni pianto è disperazione, né ogni oscuritade è priva di luce.
Sì come ‘l sommo cantor de l’alte cose
discese prima nel dolor profondo,
ove il dannato in pianto si ripose,
e poscia salì al monte sacro e tondo,
ove purgàrsi l’alme travagliate
che bramavan salir dal basso mondo,
finché giunse alle sfere illuminate,
ove risplende l’etterno Paradiso
tra voci sante e luci inebriate,
così m’accadde, nel mortal improviso:
provai le fiamme d’una doglia oscura
che mi struggeva come foco acceso.
Là dove ogni speranza si misura
con l’agonia ch’allenta il nostro fiato,
io dimorai tra pena dura e dura.
Ma quando il core fu quasi disfatto,
e l’ossa stanche al suol volean cadere,
parvemi un lume in ciel benedettato.
E da quel lume, con parole vere,
discese una figura sì gentile
che a dirne il nome ancor l’alma si spere.
“Son l’Anima,” mi disse con sottile
voce che al cor portava dolce ardore,
“venni per te da l’empireo più vile.
Che tu non mora in questo amaro errore,
ma trovi via che al sommo ben conduce,
ti sarò guida come fu d’amore.”
E prese man la mia, piena di croce,
e m’innalzò per vie ch’eran sì oscure,
ch’ogn’altra luce a lato parea luce.
Così salii, purgando le mie cure,
per ogni pianto e doglia sostenuta,
fino al confine delle cose pure.
Là mi condusse, in veste incorrotta,
ove s’adora l’amor che tutto move,
e l’alma mia fu salva e ricondotta.
Siamo ancora i nostri padroni,
o siamo fiumi che scorrono senza sapere la direzione,
turbati da venti che non vediamo,
sfiorati da luci che ci fanno ciechi?
Abbiamo preso in mano il nostro destino,
o è lui che ci sussurra, silenzioso,
nelle notti più buie e nelle giornate di sole?
Siamo ancora la penna che scrive la storia,
o siamo le pagine, senza parola,
pronti a essere girati?
Ci siamo eretti al di sopra delle stelle,
abbiamo costruito torri che sfidano il cielo,
ma nelle pieghe della nostra esistenza
abbiamo perso la chiave del nostro cuore,
che era, forse, l’unico vero padrone.
Eppure, nel profondo,
ascoltiamo la voce del vento,
che ci parla come un antico saggio.
Siamo ancora padroni di quel silenzio,
o siamo figli di esso?
Il dominio non è più quello che pensavamo.
Siamo i sogni e i desideri che ci plasmano,
e la libertà, forse, è un’illusione
che noi stessi abbiamo disegnato.
Forse siamo ancora padroni,
ma di un regno che non conosciamo più.
Un regno dove il controllo è una piuma,
e il nostro cuore è il vero timoniere.
Buongiorno a te,
nuovo sole che sorge
sugli occhi miei ancora pieni di notte.
Sei arrivata
come un raggio testardo
che attraversa un vetro opaco,
e non fa rumore
ma promette primavera.
Io ero albero nudo,
senza più fiori né foglie,
la linfa era prigioniera nel ghiaccio
tu l’hai scaldata,
l’hai rimessa in cammino.
Adesso germoglio,
non per caso,
ma perché tu mi vedi.
Tu sei il giorno che comincia
e io, come dopo un inverno senza fine,
riabbraccio la luce.
Algida l’aria,
scuro il cielo
muta
l’anima ai rami
un sordo grido incessante
nel vento
ho camminato
sulle ossa
nella fredda notte
senza luna
senza voce
ma tu
credici
quando anche la luce
si ritrae dal sangue
il seme
non ha smesso di battere
nella crepa
trema
una foglia futura
…
arriverà
la primavera
senza rumore
senza perdono
come una ferita
che fiorisce
Quando l’età mia ancora era promessa,
e il cor vibrava d’impeto gentile,
fu nel parlar d’un’anima sorella
che mi si svelò l’Amor più sottile.
Non solo il corpo, ma la mente bella
s’innalzò in me con foco quasi ostile,
ché l’alma sua, di luce universale,
mosse la mia in un nodo immortale.
E benché l’anni, con severa mano,
oggi m’avvolgan nel silenzio amaro,
né labbra ho più né ascolto profano,
parmi ieri quel riso puro e raro
che, più del cïel, degli astri e del piano,
mi rivelò il divin nell’essere caro.