Autore: Jack Arru

  • Tu non ricordi

    Tu non ricordi,
    ma eravamo acqua,
    gocce della stessa rugiada,
    sorte sulla stessa foglia
    in un mattino sereno,
    secoli fa.

  • L’attesa

    In questa mia umile opera, io, che sono amatore de li versi e della dolce fatica dello scrivere, intendo fare un picciol exercizio di poesia, cominciando per via di prosa, sì come natura m’insegna, e poscia trasmutando lo dire in varî stili di poeti ch’eo tengo nel core, per amore e reverenza.

    Così facendo, voglio mostrare com’un medesmo pensiero si possa adornare di diverse voci, secondo lo modo e lo sentire di ciascun maestro; e ciò per dilettanza e studio, e non già per orgoglio d’arte.

    La prosa

    Voglio solo passare le mie giornate a scrivere poesie d’amore. Nell’attesa di reincontrarti, è l’unica cosa che mi da sollievo, e che rende la mia sofferenza dolce, ma ancora più struggente.


    Stile moderno

    Voglio solo passare le mie giornate
    a scrivere poesie d’amore

    nell’attesa di reincontrarti
    è l’unica cosa che mi da sollievo

    e che rende la pena dolce
    ma ancora più straziante


    Stile ermetico

    Voglio soltanto
    scrivere poesie d’amore
    tutto il giorno

    mentre ti aspetto

    è l’unico sollievo

    che addolcisce la pena

    e insieme
    la fa più acuta


    Stile romantico

    Desidero soltanto che il dì mi colga
    mentre scrivo d’amore, senza tregua,
    ché in quell’attesa muta del tuo volto
    ogni pena si fa carezza,
    e ogni sospiro un canto.


    Stile americano contemporaneo

    tutto quello che voglio
    è scrivere poesie d’amore
    mentre aspetto te

    non mi salva
    ma mi basta

    rende questo dolore
    più sopportabile

    più bello

    più bastardo


    Stile lirico

    Vorrei passare i miei giorni
    a scrivere d’amore
    e pensare al tuo ritorno

    perché solo così
    la mia attesa ha senso

    e il dolore diventa
    una bellezza che brucia

  • La festa

    Bevono
    birre e vino

    cantano
    ballano

    Io
    seduto in disparte

    Ho già
    più del doppio
    di ciò che inseguono

    E non lo troveranno
    stanotte

  • Giardino segreto

    Voglio amare te.
    Non i tuoi problemi.

    La tua luce
    sulle mie mani.
    Il tuo sguardo,
    fiore che si apre.

    Sono vento
    tra gli alberi.
    Sfioro,
    entro piano,
    porto profumo
    di sera.

    Eppure
    questo vuoto
    non sarà colmato.

    Resta spazio,
    giardino segreto.
    Attende la tua voce.
    Il tuo silenzio.
    La tua calma.

  • Respiri perduti

    Forse
    nessuno
    ha un volto speciale

    forse
    siamo
    lo stesso sguardo
    dentro specchi diversi

    e il tempo
    ci scorre attraverso
    senza fermarsi

    resta
    la traccia
    di un respiro

    poi
    più nulla
    e va bene così

  • Scusami se ti chiamo amore

    Scusami se ti chiamo amore
    Dal primo istante in cui ti ho vista,
    è un pensiero che ritorna
    senza tregua, senza fine.

    Forse perché siamo perfetti
    l’uno per l’altra,
    o perché le nostre anime
    si amavano da sempre,
    ancora prima di conoscersi.

    E attendevano,
    da tempo immemore,
    di potersi ritrovare.

    Come due frammenti
    della stessa energia,
    separati contro volontà
    alla nascita dell’universo.

    Anime inquiete,
    che dall’alba del sempre
    si sono chieste, in silenzio:
    “Amore, dove sei?”
    “Perché ancora non mi sei accanto?”

    Ora, nel tempo della pace,
    nel tempo della grazia,
    finalmente ci abbracciamo
    nella quiete del destino.

    E allora perdonami
    se non ho saputo aspettare,
    nemmeno un istante,

    per chiamarti con il tuo vero nome:
    Amore.

  • Ad puellam quae olim ignem ferebat, nunc cinerem – oratio tristis

    Viginti annos, puella – viginti annos, inquam! Non viximus, sed arsimus:
    arsimus igne, luto, dolore, spe falsa, et, quod peius est, amore.

    Quid fuit amor iste? Incendium dulce, pestis amabilis,
    quae non tantum cor, sed ossa ipsa depascitur.
    Tu, quae tenera videbare, mitis, pura,
    nonne flamma fuisti sub veste candida?

    Num ignorabas me ardere? Num non spectabas,
    cum verba mea – nonne tibi nota, nonne tibi cara? – in ventos difflabant?
    Ego monui, ego clamavi, ego tacui, ego amavi.
    Et quid accepi? Nihil praeter cinerem, praeter te ipsam, quae nunc cinis es.

    At tu, ore blandiente, manibus levis,
    amplexibus tuis non me levasti, sed destruxisti.
    Osculata es quasi soror, sed vulnerasti quasi hostis.
    Quid est hoc nisi odium sub specie amoris?

    Et nunc, quid restat? Senex sum, solus sum, spoliatus sum.
    Cor meum – quod olim tibi dederam – non est iam meum,
    nec tuum est, sed ignis illius, quem ambo fovimus.

    Fletus? Non dabo! Poenitentia? Non superest!
    Nam ubi amor periit, ibi nec luctus dignus est nec memoria.

    Et tamen, fateor, amavi.
    Et si amavi, erravi.
    Et si erravi, num ignosci potest ei qui totum se perdidit?

    Fuit illa puella dulcis? Fuit.
    Fuit amata? Fuit.
    Fuit spes vitae meae? Fuit.
    Et nunc quid est? Umbram video, non corpus.
    Vocem audivi, sed ventus erat.

    O tempora! O mores! O amor fallax!
    Dedit mihi risum, dedit et lacrimas, et ultimum, mortem.

  • Scrivo a te

    Scrivo
    a te

    che in futuro
    non ci sarai

    scrivo perché
    non posso parlarti

    la voce
    mi cade

    il pensiero
    non tace

    scrivo perché resti
    qualcosa di me

    che ti pensava
    che ti cercava

  • Alla mia bambina per sempre (nello spirito di Federico García Lorca)

    Ti penso da questa terra di ombre spente,
    bambina per sempre, che danzi nei sogni
    con piedi scalzi sopra le stelle,
    più lieve del pianto, più viva del tempo.

    Sei lontana, come la luna al grano,
    come il vento al tamburo della mia pelle.
    Non posso toccarti, ma ogni notte
    mi sfiori il cuore col tuo sorriso.

    Tu sei innocenza,
    che non conosce le spine del mondo,
    che guarda la pioggia come un regalo,
    e si stupisce al volo di un passero
    come fosse un miracolo antico.

    Hai meraviglia nei palmi,
    gioia che esplode come una bolla,
    fantasia che fa dei sassi castelli
    e del silenzio canzoni leggere.

    Io, esiliato dai tuoi occhi chiari,
    mi struggo nella distanza che ci separa,
    tra muri d’anni e paure adulte.

    Ma tu credi ancora:
    hai fiducia negli altri,
    come un fiore che si apre a chi passa,
    curiosità che chiede al vento
    perché soffia e dove va.

    Tu ascolti col cuore
    in empatia che nasce istintiva,
    come se ogni dolore fosse il tuo,
    come se l’amore fosse pane
    e tu lo offrissi con le mani aperte.

    Parli il gioco come fosse lingua,
    e la tua sincerità disarmante
    fa tremare ogni bugia sottile.

    Sai perdonare come l’acqua
    che dimentica il fango,
    non giudichi, non pesi, non chiedi.
    Ami,
    senza misura né ritorno.

    Hai una luce che non si spegne,
    un’energia che danza tra le ore,
    tenerezza che sa come toccare
    senza ferire.

    Vedi bellezza dove altri non guardano,
    credi ancora nella magia,
    come se il cielo fosse un sipario
    e dietro ci fosse un mondo più vero.

    Hai bisogno d’abbracci veri,
    di restare vicina a chi ami,
    ti doni con tutta te stessa,
    poi torni, spontanea, come la sera.

    Cerchi protezione
    e trovi rifugio nei cuori sinceri.
    E ridi!
    Ridi con tutto il tuo corpo,
    come se il riso fosse respiro.

    Ma io non posso toccarti.
    Sono troppo lontano.
    E allora ti scrivo,
    ti chiamo nei versi,
    chiedo perdono per essere cresciuto.

    Tu,
    bambina per sempre,
    custode del mondo che ho perduto,
    resta.
    Resta dove sei.
    Là dove il cuore non ha ancora paura.

  • Del mal che infesta i giorni lieti

    Pur se la sorte a me fu sì cortese,
    che ogn’opra mia colmi di gloria e lode,
    e l’alme ardenti, in van bramose spoglie,
    per me si strazian con lascivo ardore;

    pur se le mete agognate, una a una,
    caddero al piè come dorati fiori,
    non trova tregua il cor, né pace il senso,
    ché in me dimora un’inquieta tempesta.

    Un vuoto oscuro, un gelido abisso,
    divora i giorni miei, l’anima stanca;
    nessun piacer lo placa, né dolcezza
    di carne o fama spegne il suo furore.

    Così talor le antiche ombre rivedo,
    gli eroi caduti, e i loro vani onori,
    ché anch’essi, sotto la corona e il ferro,
    sentian del viver l’invisibil male.

    E tu, che ascolti il mio cantar dolente,
    non invidiar chi sembra aver vinto il mondo:
    ché v’è una pena che nessun trionfo
    cura, né amor, né lodi, né bellezza.